225 anni fa, il 29 giugno 1798, nasceva Giacomo Leopardi, poeta, filosofo e prosatore originario delle Marche, una delle figure del panorama letterario italiano più ammirate, che ha influenzato il pensiero critico dell’Ottocento e non solo. Di nobili origini, trascorre vent’otto anni della sua breve vita al borgo natio Recanati, prima di aprirsi ad esperienze esterne viaggiando, sempre per brevi soggiorni, a Roma, Milano, Bologna, Firenze, Pisa, fino ad arrivare nella città di Napoli, allora capitale del Regno delle Due Sicilie.
Attraverso fonti presenti nell’Emeroteca, nella Biblioteca e nell’Archivio della Fondazione Banco di Napoli è possibile ricostruire alcune vicende che hanno lasciato un segno nella cronaca della città che l’ha accolto negli ultimi anni della sua vita, donandogli, col suo paesaggio ameno e clima mite, sollievo alle molteplici sofferenze fisiche e morali che lo affliggevano.
In G. Leopardi, Le poesie di Giacomo Leopardi; Con postille inedite di Francesco Ambrosoli ai Paralipomeni della Batracomiomachia, Livorno, Vigo, 1869

Arriva a Napoli assieme al sodale Antonio Ranieri Tenti, futuro senatore del Regno discendente di una nota famiglia di notai napoletani, conosciuto durante la sua permanenza a Firenze. Con l’amico e sua sorella Paolina convive circa quattro anni, dal settembre 1833 al giugno 1837, trasferendosi in varie abitazioni. Dopo aver soggiornato brevemente in Palazzo Berio in Vico San Mattia nei Quartieri Spagnoli, i tre trovano sistemazione in due appartamenti a Palazzo Cammarota in Via Santa Maria Ognibene, nel medesimo quartiere Montecalvario, dove ancora oggi campeggia una targa a testimonianza del loro passaggio.

Via Nuova Santa Maria Ognibene, 52

Nel maggio del 1835 ottengono in fitto un appartamento sulla via per Capodimonte, luogo con un clima più idoneo alle condizioni del Leopardi che necessitava respirare un’aria maggiormente sana. La dimora situata in Vico Pero 2, una traversa di Via Santa Teresa degli Scalzi, viene concessa a Ranieri il 4 maggio, giorno tradizionalmente dedicato ai traslochi. Il movimento è testimoniato dal contratto d’affitto reso pubblico dalla Biblioteca Nazionale di Napoli che, in occasione dell’anniversario della morte del poeta, ha realizzato un progetto proprio nei pressi di quella che è stata la sua ultima dimora: la fermata dei bus Anm prospiciente la casa è stata dedicata al Leopardi, e copie del documento sono state affisse alla pensilina.
Proprio alle spalle di quest’ultima, sul muro di fronte, dove la casa aveva affaccio, si staglia la targa che commemora il poeta con l’incisione della data della morte; sul palazzo vero e proprio non vi è invece alcuna indicazione, fatta eccezione per una scritta realizzata a pennarello sul lato destro del portone.

Via Santa Teresa degli Scalzi, 91 – Vico Pero, 2

Oltre alle residenze cittadine, è ricordata per la permanenza del poeta recanatese anche Villa Ferrigni, ora Villa delle Ginestre o Villa Leopardi, una delle dimore settecentesche costruite sulla strada tra Torre Annunziata e Torre del Greco, in posizione leggermente arretrata rispetto alle altre strutture erette lungo il cosiddetto Miglio d’Oro. Nel luglio del 1897 il consiglio comunale di Torre del Greco, su proposta dell’assessore Luise, denomina la strada in cui sorge la villa proprio “Via Giacomo Leopardi” (Corriere di Napoli, A.26, n.183, 4 luglio 1897). La residenza apparteneva all’epoca a Giuseppe Ferrigni, marito della sorella di Ranieri, Enrichetta: lì il Leopardi trascorre assieme ad Antonio e Paolina 9 mesi sereni, lontano da una Napoli flagellata dal colera, ma anche produttivi, componendo in questo periodo Il tramonto della luna e una delle sue poesie più famose, La Ginestra, nome poi attribuito alla villa stessa.

In C. De Seta, Ville vesuviane, Milano, Rusconi immagini, 1980

La presenza di tale pianta, lodata per la sua tenacia e imperturbabilità, è stata negli anni favorita da ripetute eruzioni del Vesuvio, prospiciente la Villa, la cui lava distruttiva e al contempo fertile ha fatto sì che la ginestra crescesse rigogliosa tanto da sorprendere il recanatese nella sua floridezza. L’attività vulcanica particolarmente frequente nel triennio 1804-1806 è testimoniata da alcune fedi di credito custodite presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, riguardanti lavori di risistemazione della strada per Torre del Greco, particolarmente investita dagli effluvi. In foto, una causale di pagamento del 1806 () in cui si attesta che al Marchese del Valva sono stati pagati 150 ducati per terminare le operazioni di sgombero della strada verso Torre Annunziata.
L’umidità della campagna vesuviana tuttavia peggiora le condizioni di salute di Leopardi, costringendo il gruppo di amici a ritornare alla precedente dimora. Lì ebbe termine l’esistenza del giovane a soli 39 anni, ancora non è chiaro se per un peggioramento delle condizioni di salute, se per indigestione o per il morbo.

Il delicato momento storico che la città sta attraversando è la principale causa di un mancato annuncio ufficiale della scomparsa di Leopardi. Il maggiore quotidiano dell’epoca, Il Giornale del Regno delle Due Sicilie, infatti, non diffonde notizie riguardo il triste avvenimento poiché focalizzato sulle tragiche vicende che coinvolgono la capitale. Dall’ottobre del 1836 Napoli è, infatti, investita da una forte epidemia di colera, durata fino all’ottobre dell’anno successivo. Sul numero del 15 giugno il re Ferdinando II manifesta la propria apprensione persi legge un articolo nel quale si afferma l’apprensione del sovrano per le condizioni in cui versano gli “amati suoi sudditi”: si reca di persona, assieme alla sua consorte e ai ministri, nei quartieri più colpiti dal morbo e negli ospedali, confortando gli ammalati “con dolci parole”, incoraggiando gli assistenti a proseguire nel loro lavoro, dando disposizioni per il mantenimento delle migliori condizioni sanitarie possibili (Giornale del Regno delle Due Sicilie, n.128, 15 giugno 1837). Ogni sette giorni circa il giornale pubblica uno specchietto contenente una stima del numero dei malati, bollettino ai nostri occhi tristemente familiare. Antonio Ranieri affida perciò il necrologio dell’amico a un altro quotidiano, Il Progresso.

Giornale del Regno delle Due Sicilie (N.131, 18 giugno 1837)

Le onoreficenze tardano, ma saranno degnamente celebrate.
Il Municipio della sua città natale, Recanati, nel 1864 delibera l’erezione di un monumento al filosofo concittadino e il Commissario straordinario Lorenzo Valerio decreta la messa a disposizione della somma di £ 2.000 per realizzarla; a tale sottoscrizione partecipò anche la sorella Paolina, cui Leopardi era molto affezionato. Mentre vari artisti italiani studiano il miglior modo per immortalare l’immagine dell’uomo nel marmo, l’Emporio Pittoresco nel marzo 1865 offre ai lettori un’incisione che riproduce la statua in gesso realizzata da Ugolino Panichi, già lodata nel settembre del 1863 in occasione dell’esposizione artistica a Firenze. Discostandosi dal manierismo, il Panichi delinea Leopardi in una posa naturale: braccia conserte, volto sereno e pensieroso, chino su versi significativi “Caggiono i regni intanto/ Passan genti e linguaggi; man nol vede / E l’uom d’etenità s’arroga il vanto”. Il monumento sarà poi ultimato e collocato nella piazza principale di Recanati nel 1898, per le celebrazioni del centenario della sua nascita.

In L’Emporio Pittoresco (A.2, n.29, 18-24 marzo 1865)

Per tali onoranze la Regia Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti, composta da Palizzi, de Petra, Kerbaker, Capasso e Cimmino, il 6 luglio dell’anno precedente delibera l’intenzione di occuparsi dell’organizzazione di quel giorno, incentivando proposte su un rinnovamento del pronao della chiesetta di San Vitale a Fuorigrotta (Corriere di Napoli, A.26, n.185, 6 luglio 1897).
Il giorno del centesimo anniversario dalla nascita di Leopardi a Recanati è organizzata una grande celebrazione che annovera tra i partecipanti nomi illustri, tra cui il Carducci: egli loda il sentimento espresso ne La Ginestra, che comunica dolore umano e al contempo ispirazione ad un sentimento civile. Commenta il busto realizzato da Giulio Monteverde, elogiando la maestria col quale è riuscito a immortalare gli occhi affaticati, la forza nella fronte, la mitezza nello sguardo di colui che definisce il “Lucrezio del pensiero italiano”.

Corriere di Napoli (A.27, n.179, 30 giugno 1898)

Al teatro Persiani viene rappresentato un poema teatrale su Leopardi composto per l’occasione da Pietro Mascagni. La rappresentazione è un successo tanto da meritare la richiesta di un bis da parte del pubblico intervenuto che mostra il suo apprezzamento attraverso numerosi scrosci di fragorosi applausi.
Partecipa alle onorificenze anche il senatore Mariotti, a cui è dato l’onore di presentare il primo volume dello zibaldone-catalogo della biblioteca leopardiana.
Nello stesso giorno viene inaugurata un’Esposizione Leopardiana, fulcro della quale sono i numerosi autografi, stampe ed oggetti di proprietà del poeta.

Corriere di Napoli (A.27, n.180, 1 luglio 1898)

A Napoli, in contemporanea, una corona viene posta sulla tomba in San Vitale.
È lì infatti che il corpo del Leopardi viene custodito dal 1837, scampando, secondo la narrazione di Ranieri nella sua opera “Sette anni di sodalizio con Leopardi”, le fosse comuni destinate e tutti i defunti durante il periodo epidemico. I primi dubbi sulla veridicità di tali affermazioni, tuttavia, emergono nel 1900, quando si compie la riesumazione dei resti mortali del poeta: il commendatore Mariotti, in rappresentanza del Ministro della Pubblica Istruzione, ordina di procedere allo sgombero del loculo. All’apertura, cui assiste, tra i tanti rappresentanti, anche il sindaco di Napoli Summonte, la cassa di legno conteneva soltanto frammenti, ben lontani dal ricomporre l’intero scheletro. L’operazione viene in ogni caso terminata e la tumulazione definitiva completata. Attualmente si ritiene che la tomba sia in realtà un cenotafio, e che le sue spoglie siano state sparse al Cimitero delle Fontanelle o in quello delle 366 fosse.
Il Mattino (A.9, n.202, 22-23 luglio 1900)
A fine giugno del 1902, in corrispondenza del giorno natale di Leopardi, su Il Mattino è annunciata la decisione da parte dell’Accademia di Belle Arti di procedere con un programma di lavori alla Chiesa di San Vitale, in particolare al rifacimento della facciata e del pronao, affinché il luogo che accoglie le spoglie mortali di una personalità tanto importante per la nazione possa rendergli i meritati onori. Nel numero del 29-30 giugno la notizia è corredata da diverse piccole illustrazioni, che raffigurano i principali protagonisti della vicenda: i sodali Giacomo e Antonio, il raffronto tra l’antico e il nuovo prospetto della chiesa, prossima all’inaugurazione, e l’epigrafe sulla lapide composta dal vecchio amico Pietro Giordani, fautore del suo primo viaggio, a Macerata, e del suo primo assaggio di libertà.

Il Mattino (A.11, n.178, 29-30 giugno 1902)

Nell’anno 1937 ricorre il centenario della morte di Leopardi. In tale occasione Benito Mussolini annuncia un programma di celebrazioni di carattere nazionale, che coinvolge in particolare Roma, Recanati e Napoli. In quest’ultima hanno inizio le prime manifestazioni, con la partecipazione del Podestà di Napoli, al quale è consegnata un’urna contenente la terra del Colle dell’Infinito, da collocare sulla tomba del poeta a cui fu “sempre caro”. Al salone della Medaglie d’oro a Palazzo San Giacomo si assiste al discorso del Podestà di Recanati: viene consolidato il sodalizio tra la città che gli ha dato i natali e la città che l’ha accolto nel suo eterno riposo, e i maggiori esponenti di Napoli sono invitati a far visita ai luoghi d’origine del Leopardi. Il Podestà napoletano prende allora la parola annunciando il progetto di traslazione della tomba su un colle di Posillipo, dove avrà destinazione definitiva. Alla cerimonia partecipano anche alcuni pronipoti del poeta, che ossequiano il loro antenato sul suo feretro ricoperto di ghirlande di fiori e ginestre.

Roma (A.76, n.141, 15 giugno 1937)

Alle 11 dello stesso giorno si tengono le solenni onorificenze al teatro San Carlo: s’intona la Marcia Reale e gli Inni della Patria sotto la direzione del Maestro Caravaglios e alla presenza dei massimi esponenti degli istituti culturali del territorio; Ettore Romagnoli, grecista, tiene il discorso celebrativo (Roma, A.76, n.141, 15 giugno 1937). Si passa poi alla vicina Biblioteca Vittorio Emanuele III per l’inaugurazione degli autografi leopardiani. La mostra è stata fortemente voluta al Ministero dell’Educazione Nazionale, ed è composta all’ottanta per cento da documenti delle Biblioteca Nazionale di Napoli, con l’aggiunta di altri elementi forniti dalle Biblioteche di Firenze, Milano Venezia, Roma e dall’Archivio Storico del Museo di San Martino. Tra questi figurano i manoscritti dei Canti, dei Paralipomeni della Batracomiomachia, di poesie, delle Operette Morali, dello Zibaldone di pensieri, di scritti filosofici e soprattutto di carteggi personali corredati da un elenco dei corrispondenti.

In Il Mattino (A.47, n.141, 15 giugno 1937)

Finalmente il 22 febbraio del 1939 ha luogo la traslazione della tomba dalla Chiesa di San Vitale e le spoglie di Leopardi approdano a quello che è ancora oggi il luogo definitivo del suo riposo, il Parco Vergiliano a Piedigrotta, accanto al colombario di Virgilio e all’accesso alla Crypta Neapolitana, antico passaggio che collegava l’aria interna ed esterna della città separata dalla collina di Posillipo. La decisione dello spostamento è anche dettata dai molteplici lavori che stavano interessando il quartiere di Fuorigrotta in quel periodo, cui risale la risistemazione delle strade e dei rioni, oltre alla creazione della Mostra d’Oltremare. L’avvenimento è annunciato con una pagina di giornale Roma riccamente illustrata, su cui risaltano il ritratto del Leopardi, un manoscritto autografo della Quiete dopo la tempesta, uno scatto della stanza abitata nella villa a Torre del Greco, il vecchio volto della chiesa di San Vitale, il balcone in Santa Teresa degli Scalzi. Nell’articolo si ripercorrono le ultime vicende della vita e degli sforzi adoperati dal Ranieri per mettere in salvo (oggi in dubbio) le spoglie del caro amico.

Roma (A.78, n.45, 22 febbraio 1939)

Nel numero del 23 febbraio è narrata la cerimonia che ha avuto luogo il giorno precedente. Alla funzione partecipano, tra gli altri, il Principe del Piemonte Sua Altezza Reale Umberto di Savoia, il Ministro Bottai, e l’Accademico Giovanni Papini, cui è affidata un’orazione presso la Reale Società di Napoli: ribadisce la natura sublime dei versi del recanatese e il valore esclusivamente poetico del genio leopardiano, svalutando invece il valore filosofico del suo pensiero, cui attribuisce “l’assassinio” del suo potenziale lirico nella mortificazione del “fanciullino” che portava in sé. In Piazza Leopardi si accalca una grande folla proveniente da tutta Napoli e provincia; le persone si concentrano attorno il catafalco circondato da corone d’alloro, pronte a rendere omaggio. Il corteo si muove nell’ora del vespro, preceduto da centurie delle Milizia Universitaria e dei Gruppi Universitari Fascisti, seguito da Bottai, Federzoni, Marziali, il Senatore Gentile, il Podestà di Recanati Pierini, i parenti di Leopardi e un grande stuolo di artisti e scrittori. Fiaccole lungo i viali accolgono il feretro, posizionato nella grotta naturale di tufo, al centro di un sereno paesaggio boschivo. Su una mensola di marmo viene posta l’urna con la terra di Recanati, donata due anni prima dalla città natale del Leopardi.

Roma (A.78, n.46, 23 febbraio 1939)

Ad accomunare le figure di Virgilio e Leopardi, oltre al luogo di sepoltura, è anche un noto letterato del Trecento, Francesco Petrarca.  Egli si recò due volte a Napoli tra il 1341 e il 1343, descrivendo la sua esperienza nell’Itinerarium Syriacum del 1358. Tra le varie peregrinazioni ha l’opportunità di rendere omaggio al poeta latino, sua grande fonte di formazione e ispirazione. Il Leopardi, a sua volta, si ritrova a realizzare una prefazione alle Rime di Francesco Petrarca, edite postume nel 1845 da Le Monnier di Firenze. In questo volume, consultabile anche presso la Biblioteca della Fondazione Banco di Napoli, è possibile apprezzare dei brevi commenti all’apertura di ogni componimento poetico, oltre ad un commento di quattro pagine più approfondito sull’autore di cui si propone in foto la lettura. Curioso come, a distanza di secoli, le vite di questi tre personaggi si intreccino nel medesimo luogo.

In F. Petrarca, Rime di Francesco Petrarca con l’interpretazione di Giacomo Leopardi,  Firenze, Felice Le Monnier, 1845

Nonostante la vicinanza fisica al poeta dell’Eneide, il pensiero del Leopardi non si rispecchia appieno nella produzione letteraria di Virgilio. Le narrazioni giornalistiche del primo Novecento e degli anni Trenta delineano un profilo patriottico del poeta recanatese e lo accomunano all’autore latino per la venerazione volta alla Madre Italia. Nel componimento La Ginestra viene in questi anni letto un sentimento reazionario, e il Leopardi è celebrato come cantore della gioia della giovinezza, a cui ha sempre anelato in quanto emblema di salute fisica e mentale, in quanto eroismo e ideale, fino alla manifestazione dell’amor patrio.

In realtà, egli possedeva uno spirito libertario, avverso ad ogni tipo di dittatura, tanto da cercare rifugio nel mondo classico per dar sfogo al senso di libertà contro le tirannie governative, a differenza del poeta mantovano, cantore ufficiale delle gesta della Gens Iulia.

Riservando ai critici gli aspetti più complessi di tali interpretazioni, si può affermare quanto meno che ad accomunare Virgilio e Leopardi, se non il sentimento patrio, resta, in quanto entrambi esuli, il legame alla città di adozione, Napoli: il primo si staglia nei secoli come icona magica partenopea, tramite leggende che lo vedono mistico costruttore del Castel dell’Ovo e della Crypta Neapolitana; il secondo ha reso eterno, con alcuni dei versi più alti e celebri della letteratura italiana, uno dei paesaggi unici che caratterizzano questa terra, la vegetazione, le terre aride e le antiche vestigia attorno lo “Sterminator Vesevo”.

Qui sull’arida schiena

del formidabil monte

sterminator Vesevo,

la qual null’altro allegra arbor né fiore,

tuoi cespi solitari intorno spargi,

odorata ginestra,

contenta dei deserti.

Da G. Leopardi, La Ginestra, 1836