Il Banco di Sant’Eligio sorse a latere dell’omonima opera pia fondata nel 1270. Secondo la tradizione Carlo D’Angiò donò a tre suoi fedeli – Giovanni Dottun, Gugliemo di Borgogna e Giovanni Lions – un suolo fuori dalle mura cittadine affinché vi costruissero una chiesa dedicata al culto dei Santi Eligio, Dionigi e Martino. Accanto alla Chiesa sorse un ospedale per gli infermi. Successivamente l’opera venne ingrandita e, nel 1546, ad essa venne aggregato il Conservatorio di orfane ospitate nel Monastero di S. Caterina Spinacorona.

Nel 1592 i governatori dell’antica opera pia, convinti dell’utilità che la gestione di un banco pubblico avrebbe apportato agli istituti di beneficenza, ne aprirono gli sportelli in un quartiere di Napoli dove più vivace era il movimento commerciale: il Mercato.  La nuova istituzione favorì appunto l’attività dei mercanti che, grazie ad un più comodo uso della fede di credito, potevano meglio regolare i loro affari.

Il Banco risentì delle crisi del 1622, del 1647 e soprattutto del 1656 causata dalla peste che determinò enormi perdite.

Il Banco rimase poi coinvolto nella Congiura del Principe di Macchia agli inizi del XVIII secolo. Durante il periodo della Repubblica del 1799 il re, riparando a Palermo, portò con sé gran parte delle riserve dei banchi e fece rientro a Napoli solo nel 1803.

Nel 1806, tornati i Francesi a Napoli, i banchi di Sant’Eligio, della Pietà, dei Poveri e dello Spirito Santo vennero fusi in un unico istituto, denominato Banco dei Privati