La vita dei banchi

I banchi pubblici napoletani nel corso degli anni assunsero una struttura sempre più complessa ed articolata che cresceva di pari passo con l’aumento del numero di clienti e della quantità e della tipologia delle operazioni. Le operazioni compiute dai banchi pubblici napoletani erano molteplici. Innanzitutto la raccolta di depositi, per i quali i banchi non pagavano alcun interesse, ma che affluivano copiosi presso le loro casse per l’innegabile vantaggio che derivava ai clienti dal poter disporre subito, con l’emissione di una bancale, dei depositi, per effettuare qualsiasi pagamento. I prestiti su pegni di preziosi si aggiravano mediamente all’interesse del 6%; soltanto il Banco della Pietà accettava anche pegni di lino, lana e seta.

Seguivano gli investimenti in partite di arrendamenti, fiscali ed adoe, che sono gli antesignani dei titoli di debito pubblico (vendita di debito). Si trattava di quote di compartecipazione in prestiti fatti al fisco, garantiti dal gettito di alcune imposte indirette (arrendamenti) o imposte dirette (fiscali ed adoe), cedute in proprietà ai creditori dello Stato.

Operazioni di pegni non fruttiferi erano rappresentati dal prestito su pegno senza interesse, fino ad un massimo di 10 ducati, praticato dai Banchi della Pietà e dei Poveri e da prestiti gratuiti alla Regia Corte ed all’amministrazione cittadina, ai quali erano frequentemente chiamati tutti i banchi. Infine vi erano alcune operazioni accessorie come l’amministrazione di legati e donazioni fatte da benestanti, con l’obbligo di distribuire le rendite in attività caritative, secondo la volontà del testatore.